Marco Baltieri - Sono nato a Torino nel 1951, abito a Torre Pellice, in una valle della provincia di Torino. La mia passione per la pesca è nata in Val di Susa, di cui era originaria una parte della mia famiglia. Allora nonni e genitori erano molto poco preoccupati di dove fossero e che cosa facessero bambini e ragazzi nel corso della giornata; si viveva molto più liberi di adesso e si potevano inseguire tutte le avventure che montagne, boschi e soprattutto fiumi ti potevano regalare. Per cui passavamo interminabili giornate lungo la Dora Riparia e mi ricordo ancora come fosse adesso il primo pesce che ho preso, un vairone mi pare, che ha “attaccato” con decisione l’esca che avevo fatto cadere vicino alla vegetazione sommersa di uno stagno. Avevo cinque o sei anni, la canna era naturalmente in nocciolo. Negli anni seguenti diventai abilissimo a promuovere la pesca e l’acquisto di belle canne di bambù da parte dei miei amici, convincendoli che non c’era ragione migliore per rompere il salvadanaio. Poi naturalmente mi sono “evoluto” e ho cominciato a far girare cucchiaini (lo Zama a doppia paletta era il mio preferito) su e giù per la Dora, con qualche incontro con le gigantesche marmorate che ancora nuotavano in quelle acque. Ho anche cominciato, in quegli anni, a rendermi conto di come venivano massacrati i fiumi; in particolare, la Dora venne devastata dai “silos” (le cave in alveo) che scaricavano direttamente in acqua i liquami derivanti dalla lavatura della ghiaia: l’acqua era sempre torbida e pesci e insetti acquatici cominciarono a diminuire visibilmente. Ho fatto degli studi che mi hanno portato a laurearmi in geografia e i primi lavori che ho fatto riguardavano proprio le cave di sabbia e ghiaia e il loro impatto sull’ambiente. Poi sono cominciati gli anni di insegnamento in un liceo scientifico e, nel frattempo, mi sono stufato di far girare cucchiaini e ho “scoperto” la pesca a mosca, un mondo da quale non riesci mai a smettere di imparare qualche cosa. Sono sempre rimasto un “pescatore mediocre” ma pieno di passione (e in questo non sono cambiato). A partire dall’inizio degli anni ’90 ho cominciato a collaborare con i progetti di sostegno delle popolazioni di marmorata e fario in provincia di Torino, lavorando con l’”incubatoio di valle” di Luserna San Giovanni, in Val Pellice (dove nel frattempo mi ero trasferito). In quegli anni la situazione dei fiumi è peggiorata notevolmente, soprattutto per le devastazioni prodotte dai lavori di disalveo e dai “ladri d’acqua” (le centraline idroelettriche e l’irrigazione scriteriata). Mi sono sempre più impegnato in queste battaglie (e non ho ancora smesso), prima solo con le associazioni dei pescatori, poi anche con Legambiente. Sono quindi un “ambientalista-pescatore” (o un “pescatore-ambientalista”, non vedo la differenza: ma qualche volta la cosa non piace né ai pescatori né agli ambientalisti…). Mi piace molto studiare la storia della pesca e penso che riflettere un po’ sul nostro passato ci potrebbe aiutare ad aver più cura dei nostri fiumi e ad evitare le “derive consumistiche” del pronta pesca, dell’esotismo alieutico, delle competizioni e dell’attrezzatura griffata. Abito in una valle alpina, con parecchi torrenti, e anche il Po non è lontano: sono dunque un privilegiato perché posso essere in pesca in meno di mezz’ora da casa mia; mi piace molto pescare a secca arrampicandoni su per un torrente, ma anche i fiumi del piano (soprattutto d’autunno) mi fanno sognare.